Lo scandalo della Bona Dea

Sacro e profano nell'Antica Roma

Pompea tenta di nascondere Clodio travestito - Immagine creata con IA 

La Bona Dea era un'antica divinità laziale di buon auspicio, spesso identificata con la moglie del dio Fauno o con la dea dell'abbondanza Opi. Veniva celebrata a Roma in due momenti dell'anno: il primo a maggio, riservato ai plebei; il secondo ai primi di dicembre, di tipo esoterico, era riservato esclusivamente alle donne patrizie.

Nella notte tra il 4 e 5 dicembre del 62 a.C. Gaio Giulio Cesare era pontefice massimo, per cui il rito si svolse nella sua residenza. La cerimonia non andò per il verso giusto in quanto Publio Clodio Pulcro, fratello della ben nota Clodia (la Lesbia di Catulllo), amante di Pompea Silla, moglie di Cesare, si intrufolò in casa vestito da donna per raggiungerla; egli però fu scoperto dalla madre di Cesare, Aurelia Cotta, che lo scacciò.

Poiché vi parteciparono tutte le donne patrizie, le voci si diffusero e della vicenda si parlò a lungo in città: bisogna comprendere che Clodio, col suo comportamento, aveva profanato un rito atavico e in una società come quella romana, in cui la religio era legata a doppio filo con ogni aspetto politico, civile e militare tutto ciò veniva percepito dai più tradizionalisti come una minaccia all'ordine costituito. Un mese dopo, grazie al cesariano Quinto Cornificio, fu imbastito un processo contro Clodio, il quale venne accusato di incestus, cioè di delitto sessuale contro la natura e la religione. Cesare ripudiò sua moglie affermando che la consorte del pontefice massimo dovesse essere senza macchia, ma si rifiutò di deporre contro Clodio, conscio della sua crescente popolarità fra la plebe di Roma; probabilmente Clodio fece un favore a Cesare permettendogli di cercarsi una nuova moglie più "rispettabile" (Calpurnia) e di conseguenza stringere nuovi legami politici.

Cicerone invece, in passato amico di Clodio, depose in suo sfavore considerando come ormai la vicenda fosse sulla bocca di tutti ed era inutile nasconderla: da ex console e pater patriae dopo la sventata congiura di Catilina del'anno precedente, Cicerone non voleva di certo minarsi la propria credibilità verso i conservatori. Clodio fu comunque assolto grazie alla corruzione sui giudici esercitata da Crasso, del quale doveva essere cliente, ma non dimenticò l'affronto di Cicerone negli anni a venire. Nel 58 a.C. infatti, riuscì a farlo esiliare approfittando della sua carica di tribuno della plebe: presentò ai plebiscita una legge che prevedeva l'esilio per chi aveva, in passato, condannato a morte cittadini romani senza la possibilità di appellarsi al popolo. Cicerone fece ciò durante la sopracitatacitata congiura e ne pagò il prezzo.



Bibliografia:

Plutarco, "Vite parallele - Alessandro e Cesare", book X published by Rusconi, 2021.

Svetonio, "Vite dei Cesari", book I published by Bur-Rizzoli, 1982.

Cicerone, "Lettere ad Attico", UTET, 2021.

Autore:

Alessandro Pagano

Data di pubblicazione:
2025-10-18