Diplomazia culinaria a Costantinopoli

Il ruolo del cibo nella diplomazia veneziano-ottomana

Un banchetto tra dignitari cristiani e musulmani a Costantinopoli. - Immagine generata da IA. 

Un aspetto ancora poco studiato dalla storiografia contemporanea è la cosiddetta diplomazia culinaria (o "gastrodiplomazia"): si tratta di un approccio interdisciplinare che ha l'obiettivo di studiare il ruolo del cibo nell'influenzare i rapporti diplomatici tra due o più stati. Sam Chapple-Sokol, uno dei primi ad occuparsi scientificamente di questo approccio, la definisce come "l'uso del cibo e della cucina come strumento per creare connessioni e comprensioni interculturali, nella speranza di migliorare le interazioni e la cooperazione" di chi ne fa uso. Tuttavia, esistono studi - per quanto molto rari - che analizzano la gastrodiplomazia anche in epoche passate, come quelli condotti di recente dal Professor Eric Dursteler. Esperto di storia veneziana, Dursteler dedica da più dieci anni il proprio lavoro a studiare come il cibo abbia avuto un ruolo cruciale nelle relazioni veneziano-ottomane. Alla fine del Cinquecento, Venezia si trovò a dover sostenere una politica di neutralità a causa delle guerre perse nella seconda metà del secolo, come la Guerra di Cipro (1570-1573). A questo proposito, il cibo si rivelò particolarmente utile per ottenere intelligence riguardo gli affari all'interno della corte ottomana. Marino Cavalli, un bailo tornato da Costantinopoli nel 1560, sottolineò questo aspetto del cibo in un trattato che pubblicò l'anno successivo, chiamato Informatione dell'offitio dell'ambasciatore: Cavalli sosteneva che un buon ambasciatore, oltre ad avere la reputazione di un uomo integerrimo e di assoluto valore, dovesse avere sempre una tavola ben fornita di prelibatezze. Secondo Cavalli, questa abbondanza culinaria avrebbe contribuito ad entrare in confidenza coi funzionari della corte ottomana, i quali avrebbero quindi più volentieri rivelato informazioni sensibili. Tra i cibi che i Veneziani offrivano maggiormente agli Ottomani troviamo pistacchi, mandorle, marzapane. Si dice inoltre che le Sultane fossero particolarmente ghiotte di "formaggio piacentino": si tratta ovviamente dell'antenato Parmigiano Reggiano, molto diverso rispetto però a quello che siamo abituati a consumare oggi. 



Bibliografia:

Sito: Sam Chapple-Sokol, 'Culinary Diplomacy: Breaking Bread to Win Hearts and Minds', The Hague Journal of Diplomacy 8 (2013): 161-183. (consultato 2024)

Sito: Eric R. Dursteler, " A Continual Tavern in My House': Food and Diplomacy in Early Modern Constatinople"Renaissance Studies in Honor of Joseph Connors, eds. Machtelt Israels e Louisa A. Waldman (Cambrige, MA: Harvard University Press, 2013), 166–71. (consultato 2024)

Alberto Grandi, Denominazione di Origine Inventata, Mondadori, Milano, 2018, 83-89. 

Autore:

Giacomo Tacconi - Studente Magistrale Unibo 

Data di pubblicazione:
2025-06-25