Attila: flagello di Dio o anima candida?
Il re unno nel poema epico-storico Waltharius

Attila seduto a banchetto nella sua reggia - Immagine generata con IA.
“Verga del furore divino”, “Flagello di Dio”, e chi più ne ha più ne metta. Nel corso dei secoli, i commenti non certo elogiativi nei confronti di Attila si sono sprecati, mantenendosi vividi nell’immaginario popolare ancor’oggi. Tuttavia, non è questo il ritratto del re unno che emerge dal Waltharius, un affascinante quanto elusivo poema epico-storico mediolatino. Paternità e datazione di quest’opera rimangono tuttora dibattuti, ma l’opinione tradizionale in merito assegna la sua composizione a Eccheardo I di San Gallo (X secolo). In sintesi, la trama segue le vicende di Walther d’Aquitania e della sua amata Hiltgund, ostaggi presso la corte di Attila. I due, pur essendo trattati come familiari dai reali, rimpiangono la libertà e decidono di fuggire con il tesoro della corona. Dopo mille peripezie, vengono intercettati dall’avido Gunther, re dei Franchi, e Walther si ritrova a dover affrontare ben dodici duelli, imbracciando le armi anche contro l’ex compagno di gioventù e amico Hagen, con il quale però si riappacifica, suggellando un lieto fine. Particolarmente interessante è, in un’ottica storica, il personaggio di Attila nel poema. Infatti, il re unno emerge come una figura positiva, connotata da saggezza e lealtà, e perfettamente “civilizzata”; basti pensare all’episodio del sontuoso banchetto offerto a Walther dal re, in cui egli siede su un trono intessuto di bisso e porpora, e la disposizione a tavola segue il criterio della nobiltà dei dignitari di corte. Sorprende specialmente la descrizione della reazione del re unno alla scoperta della fuga di Walther e Hiltgund: Attila è sconvolto, non riesce né a mangiare né a bere. Neppure la notte è capace di portagli sollievo, il re si rigira continuamente nel letto, e viene definito dal poeta amens, delirante. Attraverso un sottile gioco intertestuale, Attila è implicitamente fatto oggetto di un improbabile paragone, nientemeno che con la Didone protagonista del libro IV dell’Eneide virgiliana, emblema per eccellenza del furor amoroso. Un’immagine del re unno, quella dell’“amante” sensibile e dolente, dunque ben diversa da quella consegnataci dalla parte più nota della tradizione storiografica.
Armando Bisanti, L’epica latina altomedievale e il Waltharius, Istituto Poligrafico Europeo, Palermo 2010.
Marco Vittorio Pezzolo
2025-03-20