Come i gesuiti salvarono l'impero cinese

I contributi resi dai gesuiti europei allo stato cinese ai tempi dell'imperatore Kangxi

Dettaglio di un dipinto realizzato tra fine '600 e inizio '700 raffigurante l'imperatore cinese Kangxi in dialogo con un gesuita europeo. Nel corso di tutto il '600 i gesuiti, viste le loro conoscenze astronomiche e cartografiche, operarono come astronomi presso la corte imperiale. I mappamondi, portati dai missionari, erano uno degli oggetti europei più apprezzati in Cina. - Wikimedia Commons​

Se a fine ‘600 l’impero cinese dei Qing non crollò, una parte del merito è certamente da attribuire ai gesuiti europei presenti nel paese. In questo periodo avvennero infatti tre episodi che portarono l’imperatore Kangxi ad essere eternamente grato ai missionari. Il primo episodio risale al 1673: avvenne che alcuni generali di etnia Han, che in precedenza avevano collaborato con i mancesi per instaurare la dinastia dei Qing, si ribellarono temendo di perdere i loro privilegi e la loro autonomia. Nel corso della Rivolta dei Tre Feudatari, essi presero il controllo di diverse regioni del sud-ovest del paese. L’imperatore Kangxi, per fronteggiare la minaccia, si rivolse ai gesuiti, sapendo le loro avanzate conoscenze tecnologiche europee. Il gesuita fiammingo Fernand Verbiest supervisionò infatti la costruzione di una fonderia capace di produrre centinaia di cannoni leggeri, che si rivelarono decisivi nel sedare la rivolta. Il secondo avvenimento si verificò nel 1689. L’avanzata dei russi in Estremo Oriente arrivò a minacciare le frontiere settentrionali dell’impero cinese, corrispondenti alle antiche terre dei mancesi. Anche in questo caso, Kangxi si servì dell’abilità dei gesuiti: inviò, insieme al suo esercito, il portoghese Thomas Pereira e il francese Jean Francois Gerbillon per trattare con i russi nel loro accampamento lungo il fiume. La mediazione diplomatica e linguistica (in quanto svolta in latino) dei gesuiti fu fondamentale per redigere il trattato che avrebbe regolato il confine russo-cinese per quasi due secoli. Infine, nel 1692 l’imperatore iniziò a soffrire di forti febbri, che facevano temere per la sua vita. Furono ancora una volta i gesuiti, nello specifico il già citato Gerbillion e il suo connazionale Joachim Bouvet, a sfruttare le loro conoscenze mediche per guarire Kangxi, causando il discredito dei medici di corte, i quali vennero esiliati per la loro incompetenza. I meriti dei gesuiti vennero ufficialmente riconosciuti dal governo cinese: alla morte di Verbiest vennero celebrati funerali di stato e i gesuiti francesi, che avevano guarito l’imperatore, furono premiati con il diritto di abitare in una casa all’interno della Città Proibita.



Bibliografia:

Michela Fontana, Matteo Ricci: un gesuita alla corte dei Ming , Mondadori, 2017

Ronnie Po-chia Hsia, A Companion to Early Modern Catholic Global Missions, Brill Academic Pub, 2018

Autore:

Leone Buggio, studente triennale dell'Università Ca'Foscari di Venezia

Data di pubblicazione:
2025-06-16